Oliva fu uno dei pilastri su cui si appoggiò l’esito della nazionale
Il medico sportivo espone qui una precisa analisi relazionata con l’attuale stato imperante nel nostro paese in materia di medicina sportiva. Prospettive e conclusioni
Ventidue furono gli artefici che cristallizzarono un sogno; la conquista del campionato mondiale di calcio per l’Argentina. Però per quello che occorrerà, si dovette contare su un’infrastruttura solida, poggiata su pilastri dimensionati con criterio scientifico e ampia esperienza e, uno di questi elementi di appoggio, fu la parte medica, orientata vicino alla fisiologia dello sport, la quale trovò un artefice: il dottor Ruben Dario Oliva, nato in San Justo, provincia di Santa Fè, però rosarino di adozione, già che nella nostra città cristallizzò la sua carriera scientifica, da qui cominciò a cantare i benefici di una specializzazione della medicina per quasi due lustri – La Capital raccolse le sue prime inquietudini – però la figura di Oliva coprì dimensioni, come se paresse essere un patrono comune degli argentini, in altro ambito, nell’ancestrale Europa. Cattedratico dell’Università di Milano, assessore di squadre olimpiche di varie nazioni, consulente di clubs d’importanza, le sue conoscenze furono richieste da Cesar Luis Menotti.
Passati i giorni, e l’Argentina campione del mondo, il dottor Oliva sta in Rosario e per logica nel La capital prima della richiesta giornalistica; i suoi concetti, come sempre, son validissimi, possono abbracciare tutto il panorama nazionale, però riferendosi allo stato della Nazionale, al suo arrivo disse: ” Male, lo vidi disorientato in materia di dieta, non assistito in materia medica come corrisponde al livello della selezione nazionale e gli mancava a Menotti coprire questo capitolo che penso, è importante e fondamentale e per il quale egli insistette perché io arrivassi, così che purtroppo ebbero a digerire cure che andarono a igienizzare aspetti, inclusi negativi in quanto alla parte affettiva, però io non potei difendere l’indifendibile. Nella squadra io vidi buoni giocatori, trattai di curarli bene, coincidemmo con Menotti che il lavoro doveva essere integrale, funzionale, in accordo con il corpo tecnico, con molto pallone, in maniera dinamica, tattica, in forma misurata, senza lavori intensivi e faticosi durante la settimana.
“Attuammo con la dieta, facendoli aumentare di peso tenendo una teoria che confermò molte volte precedentemente con grandi risultati, e così i giocatori arrivarono ala finale del campionato con circa tre chilogrammi di più, sopra il peso teorico. Fecero fondo per sopportare sforzi impensati, si fecero controlli di laboratorio dopo le partite studiando il pronto recupero, trattai di guidare il fegato infine, che la macchina stesse nelle migliori condizioni, e non è nessun segreto ottenere il resto”. Però nell’intervallo di 12 anni, il dottor Oliva ha realizzato visite spaziate in tutto il nostro paese e per quello risultò d’interesse conoscere il suo criterio in quanto ad un’evoluzione nell’applicazione della pratica della medicina sportiva, e questa fu la sua risposta:
“tutto il precedente, in quanto fa i progressi evidenziati che può captare nel tema che m’interessa, la medicina nello sport dalla mia partenza, fu un’illusione, già che si continuò con un obiettivo di biforcazione, di divergenza dentro gli interessi di fare corsi, congressi, fino ad arrivare alla promozione di questo mondiale e realizzato in Cordoba, dove si son portati professori dall’estero, però con una mancanza assoluta di applicazione alla realtà di quello che si trattò di fare nel congresso.
“la diversificazione degli sforzi, l’interesse di fare corsettini qua e la in Buenos Aires e in un ospedale, senza un’intenzione seria di creare una scuola di livello universitario in medicina dello sport. Non si è programmato in questa materia, non si è seguito formando professionisti quando ci sono interessi in persone giovani di farlo e ripeterlo, un deterioramento della medicina da spogliatoio dove, mi spiace dirlo, invece di aver sviluppato una cultura sportiva portata da professionisti dello sport ben capaci, si è ricorso sempre allo stesso: le pastiglie, le anfetamine e gli stimolanti, come se con esso si sistemasse tutto il processo, e non è così. In una parola, incontrai un gran deterioramento in quest’aspetto: incontrai molti additivi nello spogliatoio. Senza responsabilizzare i giocatori, se non a quelli che tengono l’obbligo di orientarli. Per questo ripeto che la definizione della FIFA che parlava di doping, per esempio, diceva che “si sanzionerà il giocatore che si somministra…”; no….non può essere. Nessuno parla dei responsabili; parlano unicamente del giocatore, che è l’ultimo responsabile.
“il precedente è un equilibrio in medicina sportiva osservato da me nel paese, dove non si è coordinato. Senza dubbio, ci sono casi isolati e hai al tempo stesso gente seria che sarebbe utilizzata e non gli dall’opportunità. In una parola, continua lo sport, nell’aspetto medico, un fattore di promozione e niente più. Niente di forma e di un lavoro serio. Si continua attuando dall’alto in basso e non al contrario.
“rispetto dell’infrastruttura, dell’unica che si parla molto è quella sportiva, del cemento armato, e dell’infrastruttura biologica non si dice nulla, o poco. Io capisco che l’infrastruttura biologica deve essere protetta perfettamente, deve essere realmente determinata e organizzata. Nel caso della selezione non incontrai nulla di strumentale, nonostante che non credo molto negli apparati, però incluso mettendo a fuoco da questo punto. Mi toccò analizzare dal ministero della salute pubblica, nel 1968/1969, al ritorno dall’estero, e di considerare la creazione dell’Istituto di Medicina dello Sport, con il suo centro di investigazione, docenza e di elaborazione di regole per essere applicate in maniera decentralizzata nel paese. Inoltre da questo, avevo un criterio centralizzatore normativo e decentralizzato esecutivo, e stava previsto l’installazione di questo istituto nel Centro di Educazione Fisica di Buenos Aires. Queste analisi e progetti meritavano le congratulazioni dei professori tedeschi che vennero nel paese e che dissero: “ però voi qua avete disposto una cosa per la quale noi impiegammo 30 anni per poter centralizzare in un solo punto”. Senza dubbio, di tutti i precedenti non si fece assolutamente nulla; si fraintese tutto.”.
Il medico sportivo espone qui una precisa analisi relazionata con l’attuale stato imperante nel nostro paese in materia di medicina sportiva. Prospettive e conclusioni
Ventidue furono gli artefici che cristallizzarono un sogno; la conquista del campionato mondiale di calcio per l’Argentina. Però per quello che occorrerà, si dovette contare su un’infrastruttura solida, poggiata su pilastri dimensionati con criterio scientifico e ampia esperienza e, uno di questi elementi di appoggio, fu la parte medica, orientata vicino alla fisiologia dello sport, la quale trovò un artefice: il dottor Ruben Dario Oliva, nato in San Justo, provincia di Santa Fè, però rosarino di adozione, già che nella nostra città cristallizzò la sua carriera scientifica, da qui cominciò a cantare i benefici di una specializzazione della medicina per quasi due lustri – La Capital raccolse le sue prime inquietudini – però la figura di Oliva coprì dimensioni, come se paresse essere un patrono comune degli argentini, in altro ambito, nell’ancestrale Europa. Cattedratico dell’Università di Milano, assessore di squadre olimpiche di varie nazioni, consulente di clubs d’importanza, le sue conoscenze furono richieste da Cesar Luis Menotti.
Passati i giorni, e l’Argentina campione del mondo, il dottor Oliva sta in Rosario e per logica nel La capital prima della richiesta giornalistica; i suoi concetti, come sempre, son validissimi, possono abbracciare tutto il panorama nazionale, però riferendosi allo stato della Nazionale, al suo arrivo disse: ” Male, lo vidi disorientato in materia di dieta, non assistito in materia medica come corrisponde al livello della selezione nazionale e gli mancava a Menotti coprire questo capitolo che penso, è importante e fondamentale e per il quale egli insistette perché io arrivassi, così che purtroppo ebbero a digerire cure che andarono a igienizzare aspetti, inclusi negativi in quanto alla parte affettiva, però io non potei difendere l’indifendibile. Nella squadra io vidi buoni giocatori, trattai di curarli bene, coincidemmo con Menotti che il lavoro doveva essere integrale, funzionale, in accordo con il corpo tecnico, con molto pallone, in maniera dinamica, tattica, in forma misurata, senza lavori intensivi e faticosi durante la settimana.
“Attuammo con la dieta, facendoli aumentare di peso tenendo una teoria che confermò molte volte precedentemente con grandi risultati, e così i giocatori arrivarono ala finale del campionato con circa tre chilogrammi di più, sopra il peso teorico. Fecero fondo per sopportare sforzi impensati, si fecero controlli di laboratorio dopo le partite studiando il pronto recupero, trattai di guidare il fegato infine, che la macchina stesse nelle migliori condizioni, e non è nessun segreto ottenere il resto”. Però nell’intervallo di 12 anni, il dottor Oliva ha realizzato visite spaziate in tutto il nostro paese e per quello risultò d’interesse conoscere il suo criterio in quanto ad un’evoluzione nell’applicazione della pratica della medicina sportiva, e questa fu la sua risposta:
“tutto il precedente, in quanto fa i progressi evidenziati che può captare nel tema che m’interessa, la medicina nello sport dalla mia partenza, fu un’illusione, già che si continuò con un obiettivo di biforcazione, di divergenza dentro gli interessi di fare corsi, congressi, fino ad arrivare alla promozione di questo mondiale e realizzato in Cordoba, dove si son portati professori dall’estero, però con una mancanza assoluta di applicazione alla realtà di quello che si trattò di fare nel congresso.
“la diversificazione degli sforzi, l’interesse di fare corsettini qua e la in Buenos Aires e in un ospedale, senza un’intenzione seria di creare una scuola di livello universitario in medicina dello sport. Non si è programmato in questa materia, non si è seguito formando professionisti quando ci sono interessi in persone giovani di farlo e ripeterlo, un deterioramento della medicina da spogliatoio dove, mi spiace dirlo, invece di aver sviluppato una cultura sportiva portata da professionisti dello sport ben capaci, si è ricorso sempre allo stesso: le pastiglie, le anfetamine e gli stimolanti, come se con esso si sistemasse tutto il processo, e non è così. In una parola, incontrai un gran deterioramento in quest’aspetto: incontrai molti additivi nello spogliatoio. Senza responsabilizzare i giocatori, se non a quelli che tengono l’obbligo di orientarli. Per questo ripeto che la definizione della FIFA che parlava di doping, per esempio, diceva che “si sanzionerà il giocatore che si somministra…”; no….non può essere. Nessuno parla dei responsabili; parlano unicamente del giocatore, che è l’ultimo responsabile.
“il precedente è un equilibrio in medicina sportiva osservato da me nel paese, dove non si è coordinato. Senza dubbio, ci sono casi isolati e hai al tempo stesso gente seria che sarebbe utilizzata e non gli dall’opportunità. In una parola, continua lo sport, nell’aspetto medico, un fattore di promozione e niente più. Niente di forma e di un lavoro serio. Si continua attuando dall’alto in basso e non al contrario.
“rispetto dell’infrastruttura, dell’unica che si parla molto è quella sportiva, del cemento armato, e dell’infrastruttura biologica non si dice nulla, o poco. Io capisco che l’infrastruttura biologica deve essere protetta perfettamente, deve essere realmente determinata e organizzata. Nel caso della selezione non incontrai nulla di strumentale, nonostante che non credo molto negli apparati, però incluso mettendo a fuoco da questo punto. Mi toccò analizzare dal ministero della salute pubblica, nel 1968/1969, al ritorno dall’estero, e di considerare la creazione dell’Istituto di Medicina dello Sport, con il suo centro di investigazione, docenza e di elaborazione di regole per essere applicate in maniera decentralizzata nel paese. Inoltre da questo, avevo un criterio centralizzatore normativo e decentralizzato esecutivo, e stava previsto l’installazione di questo istituto nel Centro di Educazione Fisica di Buenos Aires. Queste analisi e progetti meritavano le congratulazioni dei professori tedeschi che vennero nel paese e che dissero: “ però voi qua avete disposto una cosa per la quale noi impiegammo 30 anni per poter centralizzare in un solo punto”. Senza dubbio, di tutti i precedenti non si fece assolutamente nulla; si fraintese tutto.”.
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