EL stress tambien juega











I calciatori non sono assistiti

Lo sport, definito dall’UNESCO come un fenomeno democratico e sociale per eccellenza, è entrato negli ultimi 20 anni in un processo vertiginoso di cambiamenti che obbliga a tenere una preparazione adeguata per studiarlo in tutte le sue implicazioni. . E’ che, se non sta bene preparato, i cambiamenti sorprendono. Così, per esempio, in un paese come l’Italia, che conosco profondamente, lo sport si trova dentro le prime dieci attività di maggior fatturato annuale. Osserviamo come gli stati moderni, alcuni dei quali tengono il calcio come sport principale, hanno inserito la lotteria sportiva, chiamata PRODE (Argentina) o totocalcio (Italia). Si è trasformato, tuttavia, in un fenomeno di massa di consumo di elemento che fanno gli interessi di chiunque pratichi sports; e non è lo stesso il tempo nel quale usavamo pantaloncini corte e scarpe sportive, che attualmente appaiono giorno per giorno, con la diversità che la tecnica offre, prodotti ogni volta più sofisticati.
Nel caso particolare del calcio, abbiamo visto che dai campionati tradizionali avvenne passando lentamente ad altri tornei: metropolitani, nazionali, coppa libertadores, coppa intercontinentale, eccetera, saturando eccessivamente la piazza calcistica ed elevando notevolmente le esigenze. Questo provoca l’aumento stressante della necessità del rendimento del calciatore. Si è compromesso non solo il prestigio calcistico delle istituzioni, se non anche è il fattore economico che incide, come un boomerang, nelle esigenze ogni volta maggiori per i giocatori, tecnici, dirigenti, chiunque sta unito ai tifosi e le masse societarie dei clubs vivono pressati dai risultati. Il risultato, una parola con la quale si può sintetizzare tutto.
Allora, queste esigenze e l’aumento dello stress non han tenuto correlazioni con la maggioranza delle condizioni delle attenzioni e della conduzione dei calciatori. Queste mancanze oggi, in generale, di una base di appoggio, sia pedagogica, biologica o sociale. Si furono prodotte rotture, contraddizioni, dove l’aumento di, non corrispose, ne sebbene, all’aumento dell’assistenza, delle attenzioni, che tenevano prima i giocatori. Cominciarono a crearsi fenomeni di subcultura nello sportivo, scoiale in materia di diffusione e inoltre fratture e distorsioni per la mancanza di adeguamenti dei mezzi di controllo, assistenza, orientamento e attenzioni integrali che devono essere installate per affrontare le nuovi situazioni.
Il giocatore è la base del processo calcistico, ossia la sua infrastruttura biologica. Posiamo tenere stadi, istituzioni, tutto quello che si chiede, però l’elemento che gioca nel campo è il calciatore. È quello che fa lo spettacolo e che ottiene il risultato. E noi ci scontriamo con quello che il giocatore, che è il fondamento di quello che occorre nel calcio, di fronte a tutti i problemi che esistono si trova senza assistenza
Trascurati fondamentalmente come essere umani. Lo si è trasformato in pezzo d’ingranaggio, di un meccanismo produttivo. Gode, è certo di una serie di privilegi, entro i quali la popolarità e i benefici economici (alcuni, non tutti), però vive in una mancanza permanente, il che diventa un fattore chiamato insicurezza.
L’insicurezza è permanente perché un uomo può essere molto in un determinato momento, si converte nell’epicentro dell’attenzione giornalistica, e può passare, da un giorno all’altro, a essere praticamente uno sconosciuto. Al giocatore lo si supporta più negli aspetti formali che di fondo e possono trovarsi, subito, dimenticati.
L’insicurezza si manifesta se terminerà in buone condizioni la sua carriera sportiva, dalla firma dei contratti fino alle lesioni. E tutto fa che possa essere molto sensibile nella sua instabilità emotiva: vive l’angustia ambientale, la dinamica moderna, il così chiamato calcio moderno, una fissazione per il risultato. Tutto quello che tocca non solo il giocatore, considerato individualmente o in gruppo, sino a coloro i quali lo circondano: famigliari, giornalisti, dirigente, tecnico, assistenti del tecnico, preparatore fisico e il MEDICO.
Quando il medico vuole aiutare a risolvere i problemi, si scontra con la superficialità con la quale si affrontano queste cose. Si scontra, tuttavia, con lo schema della notizia che è quello che generalmente interessa al giornalista. Tutto quello che è notizia interessa, tutto quello che tiene qualcosa di profondità, che sta alla base, non interessa. È dire, la cultura sportiva non ha aumentato e si è installato una subcultura sportiva che vive per il clamore.
Si deve avere molta forza di volontà, serietà, e spirito di sacrificio per riprendere il punto di partenza in questo capitolo dell’attenzione medica. Perché oggi arriviamo all’imperiosa necessità che il giocatore sta presente nel campo, sia come lo fu, per la sua qualità o per l’importanza della partita. Predomina una situazione nella quale il giocatore deve curarsi e stare in condizioni ad ogni costo.
Per esempio, certi metodi terapeutici, che colui che scrive iniziò in Argentina e che non sempre furono ben compresi, sono utilizzati non per curare o migliorare un uomo, prima come uomo e dopo come calciatore, se non perché il giocatore gioca la domenica. Allora, il giocatore lesionato gioca infiltrato, se lo si sottopone ad una terapia che calmando il dolore di tale o quella parte (tendine, legamento, eccetera), con infiltrazioni anestetiche si sistema perché stia nel gruppo.
Se facciamo una statistica, è molto difficile farla, però non impossibile, vedremo che è enorme la quantità lesionata nel calcio e di gente operata nel calcio. L’attenzione alle lesioni fa che tenga in conto, soprattutto, la partecipazione e non l’orientamento. Proliferano, pertanto, i calciatori operati per strappi i di altro tipo di patologia, salvo quelle tradizionalmente casuali, come le molto poco frequenti fratture, che esistono adesso ed esistevano prima.
Il calcio sta perfettamente inquadrato nell’incidenza delle lesioni delle parti molli, che è un tipo di patologia non curata dalla traumatologia tradizionale perché non procura rischi per la vita o di futuro nell’attività che l’uomo svolge normalmente. Però nello sport tiene una grande importanza. Si produce come pane giornaliero e, se non lo si tratta bene, provoca le maggiori conseguenze nello sportivo: distorsioni della caviglia, distensione dei legamenti, lesioni che possono considerarsi sofferenze meniscali incerte, tendinopatie, eccetera. In questa questione abbastanza specifica, appare un capitolo molto importante in medicina che è la IATROGENIA MEDICA, ossia quando la funzione del medico causa più danno che beneficio. L’Iatrogenia è un capitolo profondo e denso nella storia della medicina e oggi sarebbe motivo di un congresso di medicina dello sport perché noi medici ci adeguiamo ad analizzare il problema con l’intento di frenare l’avanzata che obbliga a che l’uomo, lesionato, stia nel campo di gioco. Frenarla con una bandiera o con uno stendardo: primo difendere il patrimonio biologico del club, che è attendere all’uomo come corrisponde e che non predomina la mentalità della partecipazione.
Per dare un’idea della dimensione che richiede la mentalità della partecipazione, vado a raccontare quello che una volta mi disse, sorridendo, un dirigente,: “ al vedere che nella mia squadra ho molto infortunati e che non venivano curati rapidamente, pensai e mi dissi che succede? Intanto risolsi di far entrare in gioco nei premi il medico. Santo rimedio. Da questo momento feci un cambio fondamentale: giocavano quasi tutti, se non tutti, sani o no, mal curati o curati a metà, in qualunque condizione, buona o cattiva, tutti entravano per giocare…”.
Con questo non voglio fare una critica velenosa vicina ai miei colleghi, se non confermare una situazione perché in comune cerchiamo la forma per risolverla. Però il problema sta pianificato e si può dire che nel calcio argentino rimane a terra. Non tengo le statistiche in mano, è facile farla per sapere cosa successe negli ultimi dieci anni. Che successe con le squadre che vinsero coppe libertadores, intercontinentali, campionati nazionali e metropolitaani? Che sta succedendo con le squadre che tengono successivi e voluminosi compromessi?
Dobbiamo, pertanto, creare dalla propria AFA, e non credo che manca molto tempo per farlo, norme di salute e sanitarie medico-sportive per orientare l’azione medica nella periferia, nei clubs che appartengono alla casa maggiore del calcio. Quando si possono adottare queste norme, irradiarle, discuterle e applicarle e permettere un controllo, avremo dato un passo decisivo alla salute dello sportivo. Una parola che non deve essere vana, ne manovrata. Umana, filosofica e cristianamente, teniamo che andare all’incontro di un problema di fondo con soluzioni che significano esaltare il medico e rispettare l’attività del calciatore.
Al non avere norme sanitarie, ciascuno muove come un “maestrino con il suo libricino” e si torna al caos già che al non approfondire il tema del ritmo biologico, al non esistere un’educazione sanitaria nel calciatore, questa rimane catturato per una nevrosi sportiva.
E per la mancanza di un’orientazione univoca nella metodologia ad applicare, si prende, molte volte, il cammino facile dell’attacco, la scorciatoia per arrivare con il minor tempo possibile, con il minor sforzo possibile e sorprendente tendenza alla superficialità.
Una faciloneria che nella maggioranza dei casi conduce, per decantazione, al doping, il problema dei problemi e dei quali le analisi, in serio, in profondità, merita un trattamento particolare, nel quale ci si tuffa nelle cause e non si cade solamente negli effetti.
Comunque, voglio segnalare che quando si pretende di evitare il doping si cade, quasi sempre, nelle norme repressive, nella penalizzazione del giocatore con il controllo antidoping e non si cerca l’imprescindibile educazione sanitaria che deve esistere nei calciatori per impedire che questi girino intorno allo stimolante come al grande rimedio salvatore. E quando sostengo che il controllo antidoping non è la migliore soluzione, lo faccio perché la delinquenza e la subcultura sportiva non si trattengono di fronte alla norma repressiva. Si tratta di incontrare la cosa o la sostanza che non lascia tracce; utilizza corticoidi, perché i 17 steroidi sono di eliminazione normale per l’urina e da sempre la positività o ricorre a qualunque cosa che dia una sensazione di euforia. Né che parlare degli anabolizzanti che tanta devastazione han causato in ambito internazionale.
Si deve dimostrare positivamente che il migliore rendimento individuale nel calciatore si ottiene quando sta molto bene motivato (che è il miglior doping a livello corticale) e quando sta molto bene preparato.
Per questo manca una preparazione migliore e maggiore nei medici, nei preparatori fisici e nei tecnici. Il medico deve lasciare di essere il furgone di cola di una squadra di calcio che solo si limita all’attenzione del giocatore lesionato, attuando come il pinguino che aspetta i turisti in Patagonia.
Il medico deve collaborare con il corpo tecnico nell’orientamento sanitario sportivo, nella preparazione fisica. Il medico deve essere preparato in educazione fisica, deve essere un medico dello sport e non solo un accompagnatore della squadra di calcio. Deve preparare un piano di base per l’azione dei tecnici e di aiuto e di appoggio biologico di quest’uomo, di questo ragazzo, che gioca al calcio professionalmente.

Nessun commento: