Il consumo, l’amministrazione o la ricerca di sostanze meravigliose o no, per ottenere un maggior rendimento energetico, aumentare il benessere psicofisico, vivere intensamente o perseguire l’evasione dai problemi quotidiani difficilmente risolvibili, costituisce una vecchia pratica installatasi nelle remote origini della società umana.
Dalle prescrizioni ancestrali e misteriose del mago della tribù umoristicamente attualizzate nella pozione magica di Asterix alla farmacologia moderna, il processo ha marciato unito all’azione terapeutica.
Dipende dal soggetto, dalle opportunità e fini dell’uso di certe sostanze perché tale somministrazione sia considerata o no un delitto.
Con questo preambolo veniamo alla definizione di doping proposta nel primo congresso europeo sopra il tema nel 1963: “Si considera doping l’utilizzazione di sostanze e di tutte quelle misure destinate ad aumentare artificialmente il rendimento, in occasione di competizioni che possono arrecare pregiudizio all’etica sportiva e all’integrità fisica e psichica dell’atleta”.
Da qui in avanti s’inizia un processo di controllo, repressione e personalizzazione, in base a liste di prodotti che di anno in anno si perfezionano o si vanno completando unendosi a un’intricata complessità e enorme difficoltà sia di caratterizzazione del delitto come di qualificazione della sostanza. Si va da questa maniera, a essere considerata come doping l’amministrazione di certi amminoacidi come complemento dietetico dell’atleta, cosa che si ottiene ugualmente mangiando un paio di bistecche, sempre chiaro rimane, che le vacche non sono state trattate con ormoni da parte del contadino.
Nel fondo di questa corsa a spirale, dentro eventuali delinquenti sportivi, periti dell’antidoping e giudici severi esiste una base di profonda ignoranza, ossia, detto in altra maniera, la deficitaria formazione nello sportivo di un’educazione sanitaria che deve rimpiazzare alla nevrosi che, fondata su detta ignoranza, crea il sofisma della sostanza che permette di migliorare il rendimento atletico.
La pseudofilosofia moderna dell’attività sportiva la conducono i grandi fabbricanti di elementi sportivi di consumo di diversa indole, i quali, disponendo de meccanismi produttivi più agili che gli stati hanno visto il grande mercato che lo sport di massa comprende, segnalando in questa maniera le direzioni attuali.
L’esperienza mi ha indicato sempre che il fenomeno del doping non l’ha iniziato lo sportivo. I suggerimenti o il consumo di sostanze proibite le hanno fatto proposte per persone informate appartenenti o no al gruppo, tecnico o dirigenziale.
Indubbiamente che in questa maniera e in base alle precedenti considerazioni, il contagio si realizza e si entra nel compromesso.
Corrisponde ai medici, allenatori, professori di educazione fisica, infermieri, dirigenti e giornalisti ingaggiare la battaglia permanente, educativo-informativa alla fine di creare la coscienza sportiva-sanitaria, unico percorso per il flagello del doping.
La scienza biologica progredisce laboriosamente al fine di schiarire i misteri della vita. Per il momento non si è dimostrato scientificamente l’esistenza di alcune sostanze che aumentano il rendimento energetico o che rimpiazzano un allenamento integralmente condotto da gente preparata e responsabile.
Nessun stimolante, narcotico, steroide anabolizzante, diuretico o auto emotrasfusione, rimpiazza un’adeguata motivazione. Questa si che genera nel sistema neuroendocrino, immunitario, umorale, i composti biologici adeguati all’attività ed al rendimento energetico.
Le emozioni, i diversi stati d’animo, l’empatia, antipatia, l’odio, l’ira, l’amore, la paura (questi ultimi considerati dall’eminente psichiatra spagnolo defunto Mira e Lopez come i quattro giganti dell’anima) tengono come base vitale la formazione in organi precisi di sostanze stimolanti o inibitorie dell’attività psicosomatica.
Indubbiamente per allenare un atleta, deve stare debitamente preparato chi lo conduce, e come questa situazione non è la predominante in molti sportivi medi, è migliore e più facile ricorrere al sotterfugio di una pillola per giocare meglio.
Passa molto tempo che mi diverto con una frase: ”…se gli danno un’anfetamina ad una vacca, non la trasformeranno in una campionessa del mondo di salto in alto”.
Tutta questa maniera di confusione che alla fine ha avuto come effetto in un discutibile meccanismo repressivo dell’antidoping, rende difficile la funzione del medico specializzato che deve trattare uno sportivo. Si perde il diritto di applicare un adeguato trattamento: per esempio, se un atleta ha dormito male può essere perfettamente curato con aspirina, il quale non sarà un delitto se non è uno sportivo. In ugual misura si può aiutare in un trattamento antidepressivo utilizzando il farmaco necessario per questa patologia; o durante un episodio allergico impiegare un antistaminico. Come questi, si possono dare molteplici esempi per dimostrare la difficoltà che ai professionisti creano queste situazioni veramente ridicole. A proposito, è celebre il caso del nuotatore Rick De Mont squalificato a vita nel 1972 dopo il suo trionfo nei 400 metri, per aver usato una medicina che conteneva efedrina. De Mont, soffriva di asma, e già questa era la medicina che usava abitualmente per il suo trattamento.
Per semplificare le difficoltà che circondano il discutibile e complicato meccanismo repressivo dell’antidoping, valgono alcuni esempi: l’atleta iugoslavo Belic, medaglia di bronzo nel salto in lungo nel campionato di atletica europeo, settembre 1990 in Spalato (Dalmazia, Yugoslavia) positivo all’anti-doping per aver utilizzato anabolizzanti: 2 anni di squalifica e ritiro della medaglia. Approssimatamente dopo 15 giorni fu riabilitato dalla federazione internazionale di atletica leggera. Il comitato medico constata equivocazioni nelle analisi (comitato presieduto dal capo del laboratorio ufficiale di Londra, vicepresidente della federazione svedese, capo del settore medico, vicepresidente del comitato medico del CIO).
Approssimatamente due anni fa successe in Norvegia con la campionessa nazionale di lancio del giavellotto. Riabilitata e pagata con forte indennizzo dalla federazione di atletica del suo paese al momento in cui le controanalisi risultarono negative.
Greg Foster, campione mondiale dei 60 metri con ostacoli, due volte campione del mondo nei 110 metri con ostacoli (Helsinki 1983, Roma 1987), fu squalificato per aver usato medicamenti vasocostrittori per stare riposato. Ritorna e vince in Siviglia nel marzo scorso, i 60 metri con ostacoli nel campionato mondiale indoor.
Altri due esempi di casi di discussione attualmente in USA: Butch Reynolds, campione mondiale nei 400 metri piani (43”29) accusato di aver utilizzato anabolizzanti in Montecarlo (agosto 1990) rifiuta l’accusa e sostiene che le provette di urina non sono le sue. Ricorre alla magistratura in USA. Causa in corso.
Già abbiamo affermato che non è trovata la droga che aumenta il rendimento energetico, negli USA si dimostrò in una squadra di football americano, che l’uso sperimentale di cocaina non da benefici energetici agli atleti.
Un membro autorizzato della squadra americana di calcio dichiarò che il beneficio energetico ottenuto per mezzo della cocaina era simile allo stimolo ricevuto con gli applausi dei tifosi sugli spalti.
Se posso aggiungere un aneddoto o un commento reso pubblico da un grande allenatore nordamericano, Pat Connolly di Los Angeles (allenatrice di Evelyn Ashford, ex campionessa del mondo dei 100 metri e campionessa olimpica). Dice tale allenatrice: “l’alcol fa male, ed allora, perché nell’antidoping si offre birra e champagne in abbondanza per far fare orina agli atleti? Molti di essi vanno all’antidoping ubriachi; già, Pat Connolly ha sostenuto in braccio Edwin Moses (il più grande ostacolista nei 400 metri di tutta la storia, attualmente membro del comitato di atletica del CIO), non stava in piedi a cusa dell’ubriacatura per la birra!”.
Dalle prescrizioni ancestrali e misteriose del mago della tribù umoristicamente attualizzate nella pozione magica di Asterix alla farmacologia moderna, il processo ha marciato unito all’azione terapeutica.
Dipende dal soggetto, dalle opportunità e fini dell’uso di certe sostanze perché tale somministrazione sia considerata o no un delitto.
Con questo preambolo veniamo alla definizione di doping proposta nel primo congresso europeo sopra il tema nel 1963: “Si considera doping l’utilizzazione di sostanze e di tutte quelle misure destinate ad aumentare artificialmente il rendimento, in occasione di competizioni che possono arrecare pregiudizio all’etica sportiva e all’integrità fisica e psichica dell’atleta”.
Da qui in avanti s’inizia un processo di controllo, repressione e personalizzazione, in base a liste di prodotti che di anno in anno si perfezionano o si vanno completando unendosi a un’intricata complessità e enorme difficoltà sia di caratterizzazione del delitto come di qualificazione della sostanza. Si va da questa maniera, a essere considerata come doping l’amministrazione di certi amminoacidi come complemento dietetico dell’atleta, cosa che si ottiene ugualmente mangiando un paio di bistecche, sempre chiaro rimane, che le vacche non sono state trattate con ormoni da parte del contadino.
Nel fondo di questa corsa a spirale, dentro eventuali delinquenti sportivi, periti dell’antidoping e giudici severi esiste una base di profonda ignoranza, ossia, detto in altra maniera, la deficitaria formazione nello sportivo di un’educazione sanitaria che deve rimpiazzare alla nevrosi che, fondata su detta ignoranza, crea il sofisma della sostanza che permette di migliorare il rendimento atletico.
La pseudofilosofia moderna dell’attività sportiva la conducono i grandi fabbricanti di elementi sportivi di consumo di diversa indole, i quali, disponendo de meccanismi produttivi più agili che gli stati hanno visto il grande mercato che lo sport di massa comprende, segnalando in questa maniera le direzioni attuali.
L’esperienza mi ha indicato sempre che il fenomeno del doping non l’ha iniziato lo sportivo. I suggerimenti o il consumo di sostanze proibite le hanno fatto proposte per persone informate appartenenti o no al gruppo, tecnico o dirigenziale.
Indubbiamente che in questa maniera e in base alle precedenti considerazioni, il contagio si realizza e si entra nel compromesso.
Corrisponde ai medici, allenatori, professori di educazione fisica, infermieri, dirigenti e giornalisti ingaggiare la battaglia permanente, educativo-informativa alla fine di creare la coscienza sportiva-sanitaria, unico percorso per il flagello del doping.
La scienza biologica progredisce laboriosamente al fine di schiarire i misteri della vita. Per il momento non si è dimostrato scientificamente l’esistenza di alcune sostanze che aumentano il rendimento energetico o che rimpiazzano un allenamento integralmente condotto da gente preparata e responsabile.
Nessun stimolante, narcotico, steroide anabolizzante, diuretico o auto emotrasfusione, rimpiazza un’adeguata motivazione. Questa si che genera nel sistema neuroendocrino, immunitario, umorale, i composti biologici adeguati all’attività ed al rendimento energetico.
Le emozioni, i diversi stati d’animo, l’empatia, antipatia, l’odio, l’ira, l’amore, la paura (questi ultimi considerati dall’eminente psichiatra spagnolo defunto Mira e Lopez come i quattro giganti dell’anima) tengono come base vitale la formazione in organi precisi di sostanze stimolanti o inibitorie dell’attività psicosomatica.
Indubbiamente per allenare un atleta, deve stare debitamente preparato chi lo conduce, e come questa situazione non è la predominante in molti sportivi medi, è migliore e più facile ricorrere al sotterfugio di una pillola per giocare meglio.
Passa molto tempo che mi diverto con una frase: ”…se gli danno un’anfetamina ad una vacca, non la trasformeranno in una campionessa del mondo di salto in alto”.
Tutta questa maniera di confusione che alla fine ha avuto come effetto in un discutibile meccanismo repressivo dell’antidoping, rende difficile la funzione del medico specializzato che deve trattare uno sportivo. Si perde il diritto di applicare un adeguato trattamento: per esempio, se un atleta ha dormito male può essere perfettamente curato con aspirina, il quale non sarà un delitto se non è uno sportivo. In ugual misura si può aiutare in un trattamento antidepressivo utilizzando il farmaco necessario per questa patologia; o durante un episodio allergico impiegare un antistaminico. Come questi, si possono dare molteplici esempi per dimostrare la difficoltà che ai professionisti creano queste situazioni veramente ridicole. A proposito, è celebre il caso del nuotatore Rick De Mont squalificato a vita nel 1972 dopo il suo trionfo nei 400 metri, per aver usato una medicina che conteneva efedrina. De Mont, soffriva di asma, e già questa era la medicina che usava abitualmente per il suo trattamento.
Per semplificare le difficoltà che circondano il discutibile e complicato meccanismo repressivo dell’antidoping, valgono alcuni esempi: l’atleta iugoslavo Belic, medaglia di bronzo nel salto in lungo nel campionato di atletica europeo, settembre 1990 in Spalato (Dalmazia, Yugoslavia) positivo all’anti-doping per aver utilizzato anabolizzanti: 2 anni di squalifica e ritiro della medaglia. Approssimatamente dopo 15 giorni fu riabilitato dalla federazione internazionale di atletica leggera. Il comitato medico constata equivocazioni nelle analisi (comitato presieduto dal capo del laboratorio ufficiale di Londra, vicepresidente della federazione svedese, capo del settore medico, vicepresidente del comitato medico del CIO).
Approssimatamente due anni fa successe in Norvegia con la campionessa nazionale di lancio del giavellotto. Riabilitata e pagata con forte indennizzo dalla federazione di atletica del suo paese al momento in cui le controanalisi risultarono negative.
Greg Foster, campione mondiale dei 60 metri con ostacoli, due volte campione del mondo nei 110 metri con ostacoli (Helsinki 1983, Roma 1987), fu squalificato per aver usato medicamenti vasocostrittori per stare riposato. Ritorna e vince in Siviglia nel marzo scorso, i 60 metri con ostacoli nel campionato mondiale indoor.
Altri due esempi di casi di discussione attualmente in USA: Butch Reynolds, campione mondiale nei 400 metri piani (43”29) accusato di aver utilizzato anabolizzanti in Montecarlo (agosto 1990) rifiuta l’accusa e sostiene che le provette di urina non sono le sue. Ricorre alla magistratura in USA. Causa in corso.
Già abbiamo affermato che non è trovata la droga che aumenta il rendimento energetico, negli USA si dimostrò in una squadra di football americano, che l’uso sperimentale di cocaina non da benefici energetici agli atleti.
Un membro autorizzato della squadra americana di calcio dichiarò che il beneficio energetico ottenuto per mezzo della cocaina era simile allo stimolo ricevuto con gli applausi dei tifosi sugli spalti.
Se posso aggiungere un aneddoto o un commento reso pubblico da un grande allenatore nordamericano, Pat Connolly di Los Angeles (allenatrice di Evelyn Ashford, ex campionessa del mondo dei 100 metri e campionessa olimpica). Dice tale allenatrice: “l’alcol fa male, ed allora, perché nell’antidoping si offre birra e champagne in abbondanza per far fare orina agli atleti? Molti di essi vanno all’antidoping ubriachi; già, Pat Connolly ha sostenuto in braccio Edwin Moses (il più grande ostacolista nei 400 metri di tutta la storia, attualmente membro del comitato di atletica del CIO), non stava in piedi a cusa dell’ubriacatura per la birra!”.
Pagina 11 del 7 aprile 1991
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