Da El Grafico a cura di Bruno Passarelli
Qualunque argentino, e meglio se mattiniero e tifoso di calcio, che si posizioni una domenica ben presto nell’aeroporto milanese di Linate, lo riconoscerà immediatamente; questo uomo di 60 anni, dai movimenti nervosi e sempre sorridente, che parla un perfetto italiano e che mai gli scappa un rimprovero agli impiegati che fanno il check – in , è il dottore Ruben Dario Oliva, medico della selezione argentina di calcio nei Mondiali 1978 e 1982, intimo amico di Cesar Luis Menotti in quelle due esperienze e oggi, come ieri e prima di ieri, uno dei medici sportivi più prestigiosi ed ascoltati in Italia.
Questa presenza del dottor Oliva le domeniche al mattino presto in Linate corrispondono ad un obiettivo concreto: imbarcarsi sul volo AZ 358 dell’Alitalia che in meno di due ore lo porta da Milano a Barcellona. E quando il DC9 tocca terra, una volta effettuato il controllo dei passaporti, il primo che incontra è Jorge Cyterszpiler, che lo accompagna rapidamente all’automobile che lo sta aspettando. Mezz’ora dopo, Oliva sta con Diego Maradona. Gli controlla la lesione, gli cambia la benda di contenimento che contiene la caviglia ferita, scambia parole con il giocatore e la sua fidanzata Claudia, lascia cadere una e l’altra parola di stimolo. Così durante alcune ore, mischiate con il risultato della partita che questa domenica sta giocando il Barcellona, è arrivato il momento di tornare all’aeroporto.
E quando già in Milano è notte, il dottor Oliva sta un’altra volta in casa sua. Vede per televisione La domenica sportiva, con le sintesi del campionato italiano, parla un poco con i suoi familiari e dopo se ne va a dormire.
Perché il giorno seguente, come da quasi 15 anni, lo aspetta il suo consultorio di Piazzale Loreto per il quale sono passati in questi tre lustri i più importanti giocatori che sono nel campionato italiano, che hanno cercato la sua attenzione medica in caso di necessità. Non per nulla di tanto intanto l’emissario porta una carta di ringraziamento, una testimonianza di affetto, come il telegramma del club della Triestina, riconoscendogli il suo apporto per la recente promozione in serie B. E non per nulla, fra i giocatori, quando vanno a Milano per farsi visitare un menisco avariato o un muscolo capriccioso, dicono: Vado dal mostro della Lombardia.
Dal sabato 24 settembre nel quale il calcione omicida del basco Andoni Goicoechea mandò alla sala operatoria della clinica Asepeyo di Barcellona Maradona, il dottor Oliva si incaricò di assistere e controllare il processo di recupero del giocatore argentino. Per questo motivo ci sono viaggi settimanali presso la città spagnola: Oliva vuole supervisionare personalmente questa riabilitazione, e Diego segue rispettando gelosamente le sue istruzioni. Lasciando da parte l’attenzione dei suoi pazienti , che quotidianamente dalle 17 alle 19 riempiono la sala d’attesa, il dottor Oliva accettò di parlare con EL GRAFICO. Lo fece con gusto e con la sua abituale cordialità.
Dottore: in Argentina si è scritto che per accelerare il recupero di Maradona si sta utilizzando una benda elastica che si fabbrica solo negli USA e che permette al muscolo una più rapida riabilitazione, senza i problemi che produce il gesso . inoltre, sarebbe una benda speciale che lascia circolare l’aria nel piede, impedendo che il muscolo si atrofizzi. Che cosa c’è di certo in questo?
Guarda, l’importante nella scienza medica è mettere tutto da parte quello che è fantasia e rimettersi solo a quello che è serio e scientifico. Quando operarono Diego, io stavo in Austria, di modo che non potei assistere all’intervento che gli fece con esito il dottor Rafael Gonzalez Adrio sulla base della diagnosi di “rottura del legamento deltoideo, rottura della sindesmosi e frattura obliqua del perone” della caviglia sinistra. Tornai a Barcellona un poco dopo a richiesta di Maradona e Cyterszpiller e mantenni un profondo scambio di idee con il dottor Gonzalez Adrio. Qui gli proposi un piano di riabilitazione che prevedeva la diminuzione di questo processo dai sei mesi calcolati inizialmente a tre mesi. Fu accettato e messo in marcia. Io direi che i piani previsti si stanno compiendo quasi alla perfezione.
Quale è la situazione attuale di Maradona?
Come è risaputo, già sta a casa sua. Però l’importante è che sta senza gesso e che si muove dentro di essa con le stampelle. Quasi impensabile un mese fa, quando si produsse la lesione…
Merito della benda nordamericana
Però quale benda nordamericana che divisa in otto quarti! Io porto sempre con me una benda di contenimento per le distorsioni della caviglia che , applicata nel piede di Diego, sta dando risultati che sono un esito fenomenale. È una benda speciale, in tela adesiva, che permette che non si atrofizzino i muscoli e che il giocatore diminuisca il tempo per il quale deve portare il gesso. Nel caso di Diego abbiamo guadagnato tre settimane. E questo è fondamentale.
Quando pensa che Maradona potrà tornare a giocare?
Da qui bisogna partire da una speranza: che non sopraggiunga nessuna complicazione non sperata. Il suo stato generale è ottimo e l’evoluzione segue favorevolmente. Il piano iniziale era un idea di rientro fra le quattro e sei mesi per tornare a giocare. Da questa previsione già abbiamo guadagnato tre settimane in meno di gesso. Credo che il quadro medico non possa essere più rallentato.
Ossia che i piani possano accorciarsi ancora di più?
È avventato dirlo, però se tutto continua così già in tre mesi è probabile che Diego stia in condizioni di ritornare con attenzione all’attività.
È contento Menotti per questa positiva evoluzione?
Non lo so, a Menotti non l’ho visto né ci ho parlato da quando si è messo in Barcellona.
Non vi incontraste mai in questi viaggi settimanali che voi avete fatto fino a Barcellona?
No, quello che succede è che solo io posso viaggiare nei fine settimana e Menotti sta sempre in ritiro o in viaggio con la squadra quando gioca fuori casa. A me mi aspetta Cyterszpiler e mi porta alla casa di Diego, così come prima mi portava alla clinica. A me mi ha consultato la famiglia Maradona….
Però fra di voi e Menotti non c’è un’amicizia che trascende l’aspetto professionale? In Argentina si commentò che voi vi siete allontanato da Menotti dopo il Mondiale, in disaccordo con la conduzione della Selezione..
In Argentina possono commentare quello che vogliono . nella selezione ognuno teneva responsabilità ben precise. Io compivo con tutta serietà e con tutto il rigore. Si figuri che i due presidenti della AFA dei due Mondiali del 1978 e del 1982, Cantillo e Grondona, si complimentarono per l’informativo che presentai e dissero che avevamo fatto bene. Fu per me un’enorme soddisfazione personale.
Qual è la sua opinione circa le polemiche che seguirono la disputa del Mondiale di Spagna?
Scriva ben chiaro che il dottor Oliva non appartenne né appartiene a nessun gruppo né a nessuna frazione. E che il dottor Oliva non è né Poncini ne questa gente che vive mediante Menotti. Io lasciai in due occasioni il mio consultorio in Milano ed i miei pazienti per compire come io credevo un dovere ed un compromesso con il mio paese. Terminati entrambi i Mondiali tornai alle mie obbligazioni personali giornaliere. Comunque non tengo niente a che vedere con quello che posso aver passato dopo la Spagna.
Questo processo del quale voi foste protagonisti, lasciò cose positive?
Si ricordi, uno dei miei sogni era approfittare di quel momento, felice del calcio argentino nel 78 per pensare a quello che la AFA creasse in Argentina un complesso sportivo come quello di Coverciano qui in Italia, con tutto i privilegi e le comodità, incluso dal punto di vista medico. Era un progetto mio che fu approvato quattro anni prima dall’autorità della Associazione del calcio argentino, dopo la partita fra l’Argentina e il resto del mondo nel giugno del 79. Però è passato il tempo e tuttora , secondo le mie informazioni, non si è comprato il terreno per la sua installazione, anche senza maggiori certezze circa il futuro. O, per lo meno, io non le conosco. È una compassione che quell’opportunità si sia rovinata così.
Non sentì tristezza per l’epilogo di quell’esperienza?
È chiaro, fu triste non poter conservare il titolo in Spagna e aver visto culminare in questa forma quel ciclo trionfale. Però, le ripeto, da quel punto di vista personale e professionale sono tranquillo, posso dire alla coscienza con il mio dovere. I miei giudici sono i giocatori. E , come nel 1978, io restituii ai clubs 22 giocatori perfettamente abili per continuare a giocare a calcio.

Biografia

Roberto Saporiti, en primera persona
Su primer trabajo, la escuela de la calle, la experiencia en el Ajax, la familia. Frases sin desperdicio.

Nota publicada en la edición junio de 2008 de la revista El Gráfico.

”Yo creí que sabía algo, hasta que llegué a Europa. Entonces me di cuenta de que en realidad era un analfabeto. Estamos muy lejos en muchas cosas todavía”.Jamás escuche gritos en mi casa. Eramos cinco: mis viejos y los tres hermanos. Era todo armonía. Mi papá trabajaba de colectivero y con eso podía parar la olla de todos. Mi casa estaba en Caballito: Pedro Goyena 561. Mi viejo jamás nos permitió una mentira, nunca.Empecé a laburar a los 9 años, en la farmacia Besio, que era de mi maestra. Yo estaba en tercer grado. De mi casa iba caminando a Primera Junta y tomaba el subte hasta Pasco, todas las tardes, de tres a siete de la tarde. La farmacia quedaba en Bartolomé Mitre y Azcuénaga. “Lo que yo te pido es que llegues a horario” me decía ella, y eso me quedó para siempre.En ese trabajo me acostumbré a estar siempre limpio, bien prolijo. Humilde pero bien vestido. Eso también me lo inculcó ella y hasta el día de hoy sigo ese consejo. Yo quería ser abogado, no futbolista. Jugaba, sí, pero no pasaba de ahí. A los 15 años empecé a trabajar en una fábrica de zapatos. Cuando tenía 18, un amigo me invitó a su casa en Lanús porque el sábado se probaba en Independiente y quería que le hiciera compañía. Ahí el técnico era Omar Crucci. Mi amigo, Alberto, no pasó. Vino Crucci y me preguntó: “¿Usted es el que juega bien?”. Le dije que jugaba, pero no tan bien. Y que venía de Caballito. “¿Y dónde queda Caballito?”, me preguntó. Igual, me hizo la prueba y quedé.Yo vi de cerca a algunos gigantes. Cuando entré a Independiente, en la Sexta, allá por el 56, en la Primera estaban Micheli, Cecconato, Bonelli, Grillo y Cruz. Lo bueno de todo es que, encima, yo era hincha de Independiente. Mi papá nunca fue a una cancha y mucho menos a verme a mí. Pero nunca se opuso a que jugara; siempre me dio toda la libertad del mundo. ¡Cómo no creer en el Destino! Yo estaba en la Quinta división cuando lo vendieron a Grillo al Milan. El que lo vendió fue Félix Latrónico. Eso fue en febrero-marzo del 57. En noviembre, ya estaba en Tercera y Reserva. Un viernes llegó un telegrama a mi casa: tenía que presentarme a las 19 horas en la cancha de Huracán. Mi mamá me lo llevó a la fábrica y me fui a la tardecita. Argentinos jugaba con Independiente en Huracán. El técnico era Adolfo Pedernera. “¿Trajo los botines, pibe?”, me preguntó. Le dije que sí. “Bueno, va a jugar ahora”. Y así debuté, terminamos 0-0. Después jugué uno más, el último partido del año con Ferro, en Independiente, ganamos 1-0.Adolfo fue enorme. En todo sentido. Era algo así como El Hombre, sabía todo de la vida y del fútbol. El te decía que no te achicaras ni por los gritos, ni nada. “Juegue a lo que está acostumbrado, pibe”, me decía. Y eso me formó mucho. La escuela de la calle es importante. Claro, cuando yo era pibe también era otra la sociedad. Pedernera, además de hablarte de fútbol, también te daba consejos de la vida.Osvaldo Brandao me enseñó mucho. Tenía un gran carácter, hay que recordar que en el 58 se enfrentó a Havelange, y no viajó con una Selección que tuvo a Pelé, a Zito... En el 61 lo tuve de técnico y nos enseñaba incluso a hacer los contratos. Nos contaba hasta lo que él ganaba. Además, era preparador físico y con él aprendí que un buen trabajo físico iba a respaldar a lo más importante del fútbol: la técnica. Yo era un acompañante en aquel Independiente del 61: jugaban Navarro, Rolan, Silveira, Ferreiro, Acevedo, Maldonado... Pero siempre me ubiqué en mi lugar, porque también me enseñaron que el fútbol te marca la obligación del juego asociado, aunque sepas tener libertad. Di Stéfano fue extraordinario. En el 60 yo estaba en el Deportivo Español, salimos campeones y nos mandaron de gira por España, 50 días. El último partido lo jugamos contra el Real Madrid ante 50.000 espectadores. Ellos tenían a Kopa, Di Stéfano, Puskas, Del Sol... extraordinario. Lo vi jugar tres veces a Alfredo: contra el Espanyol –en Barcelona– y dos en Madrid. Una contra el Elche y una contra nosotros.Alfredo jugaba en el 60 y en el 3000 también... Tenía poder de mando en la cancha, un gran despliegue físico, cabeceaba bien, manejaba los dos pies, jugaba de atrás y fue goleador cinco años seguidos. ¿Qué más se le podía pedir?Los más grandes que vi fueron Di Stéfano, Pelé, Diego y Cruyff, aunque no sé por qué, a Alfredo lo pongo en otro rubro, pero esos fueron los que más me impresionaron.Jugue contra Di Stéfano, aunque haya sido casi una exhibición; el asunto es que perdimos 5-2, pero los dos goles los hice yo. Cuando terminó el partido, don Alfredo me dijo que quería sacarse una foto conmigo. ¡Inolvidable! Salí en la tapa de Marca...El mundo no es para los débiles. Hace poco escuché esa frase y me quedó. Incluso, hay una película. El mundo ha cambiado muchísimo en los últimos 15, 20 años y estamos tratando todavía de asimilar el fenómeno. De nuevo, el destino. Cuando jugaba en México conocí a mi señora, Liliana, que fue a estudiar. Era la hija de don Félix Latrónico, que me había pedido que la ayudara un poco. Estuvo 50 días. Ella tenía que volver a la Argentina y yo me iba a Europa, a Portugal, con una carta de Alejandro Scopelli, para ir al Belenenses de Lisboa. Ya estábamos de novios.No fui de noviazgo largo. Cuando llegué a Portugal, estuve quince días y, como me podía quedar, lo hice. El 2 de diciembre de 1968 nos casamos por poder y el 9 de diciembre ya estaba Liliana en Lisboa. Y aquí seguimos, juntos como el primer día: tenemos dos hijas, Lorena -nacida en Bélgica- que está casada con Juan Manuel Matheu y nos han dado dos nietos, Santiago (6) y Tommy (4). Vanesa es soltera. La familia es todo para mí, es mi fuerza constante. No sabía que tenía condiciones para ser técnico. Pero Mario Wilson, que había sido entrenador del Académica de Coimbra y era, además, profesor de Filosofía y Letras de Mozambique, me dijo que podía serlo. En Portugal fue donde mejor me pude exprimir como jugador, jugué contra figuras como José Augusto, Columna, Torres, Eusebio... Actué durante tres temporadas en dos años y medio. El Ajax me marcó a fondo. Yo jugué en Bélgica tres años, después de haberlo hecho en el Limoges de Francia. Un compañero me convenció de estudiar para técnico en Bruselas. A medida que empecé a estudiar y analizar lo que hacía el Ajax –había que ir y estudiar a los equipos y luego hacer informes– empecé a descubrir un mundo nuevo; era el tiempo de los Liverpool, Manchester, la Juve, el Barcelona, el Real Madrid, el Milan...El futbol de Holanda me deslumbró. Cuando vino la Selección con Víctor Rodríguez, José Varacka y Vladislao Cap, me junté con Víctor y le conté todo. “¿Pero ese fútbol existe?”. Claro, ellos creían que solamente jugaba Cruyff. Argentina se enfrentó con Holanda en Rotterdam y perdió 4-1.Menotti no inventó el fútbol pero inventó a la Selección Argentina. Fue el primero que tuvo un contrato de cuatro años y se juntó con gente capaz, profesional, talentosa. No por casualidad tuvo al profesor Ricardo Pizzarotti o a Rogelio Poncini como ayudante de campo; o a Rodolfo Kralj, que dominaba seis idiomas; o al doctor Rubén Darío Oliva, que era un extraordinario profesional. Menotti le dio un método de trabajo a la Selección que no descuidó ningún detalle.Jamás fui empleado de la AFA. Estuve allí por amor al fútbol, por pasión: me quedé 8 años –entre el 76 y el 82– y, aún siendo el técnico de Talleres, en el 77, trabajé con la Selección y fueron años muy felices y enriquecedores para mí, que jamás olvidaré.

Cuando la genética acompaña al talento

Desde un medio inglés se destacó algo curioso: que Messi tiene el mismo centro de gravedad de Maradona; según los médicos, esto aporta más estabilidad, pero debe existir capacidad técnica
Después de la gran actuación de Lionel Messi en el triunfo de Barcelona sobre Chelsea, en el Stamford Bridge, por la Liga de Campeones, desde distintos puntos de Europa elogiaron sus condiciones técnicas. Pero desde el diario inglés Daily Mirror se destacó un aspecto curioso: que tiene el mismo centro de gravedad de Diego Maradona, una particularidad que le daría un balance especial a su cuerpo, que justamente fue el motivo por el cual tuvo que emigrar a España para recibir un tratamiento hormonal de crecimiento.
¿De qué se trata cuando se habla del centro de gravedad? Para explicarlo es necesario recurrir a profesionales especializados en el deporte. El médico Miguel Toderi, licenciado en Kinesiología y Fisiatría e instructor de musculación del Comité Olímpico Argentino, entregó detalles sobre esta cuestión. "El centro de gravedad se define como el punto del que un cuerpo podría estar suspendido y en equilibro con independencia de la posición adoptada. Para aseverar si Messi tiene el mismo de Maradona es necesario contar con los estudios biomecánicos y antropométricos", explicó Toderi.
Héctor Kunik, presidente de la Asociación Metropolitana de Medicina del Deporte y director del Comité de Cardiología del Deporte de Buenos Aires, comentó: "Además de la fuerza, hay otro concepto esencial para la actividad física: existe un punto en la masa corporal donde se concentran todas las fuerzas de gravedad y al que comúnmente llamamos centro de gravedad. De lo dicho podemos inferir que cuanto más bajo esté radicado el centro de gravedad más estables serán los atletas y que inversamente a mayor altura, menor equilibrio".
Para quienes muchas veces se preguntan si hay un secreto físico detrás de los prodigios del deporte, existen respuestas. "Este aspecto no será suficiente para explicar la aparición de los llamados «talentos deportivos» poseedores de una destreza y creatividad no mensurable", dijo Kunik. "¿Si Messi puede ser Maradona? El tiempo lo dirá. De lo que sí estamos seguros es que jamás lo será por tener el mismo centro de gravedad, en un deporte de velocidad, destreza y precisión como el fútbol, el estar bien balanceado es fundamental, pero no asegura el éxito."
Hace unos años, el médico Rubén Darío Oliva, que durante mucho tiempo trabajó con Maradona, señaló que el tobillo izquierdo del astro contaba con una incomparable movilidad angular. "Claro que el fútbol se expresa con los pies, pero nace en la cabeza", aseguraba Oliva. Más allá de las cuestiones técnicas y las estadísticas, hay razones físicas que acompañan la habilidad de los futbolistas.
Da La Nacion del 27.02.2006

Cosa de mayores

UN FENOMENO QUE CRECE: LOS JUGADORES VETERANOS GANAN ESPACIO EN EL FUTBOL ARGENTINO
Cosa de mayoresMientras las figuras jóvenes se van a otros países, los clubes locales recuperan a futbolistas de mucha experiencia. ¿Es un modo de enfrentar la crisis o una apuesta para jugar mejor?
JULIO CHIIAPPETTViejos son los trapos, dicen los abuelos. Viejos son los jugadores, podría decirse hoy en el fútbol argentino viendo como River repatrió a Angel David Comizzo (39 años), San Lorenzo campeón a Alberto Federico Acosta (el mes que viene cumplirá 35), Vélez a José Horacio Basualdo (38) y Boca coqueteó con Abel Eduardo Balbo (35).Viejitos piolas que se suman a los que ya están en cada plantel y aportan experiencia, oficio, veteranía, voz de mando. Para un futbolista, pasar la barrera de los 30 años significa entrar en la zona de riesgo: se acerca la edad del retiro. "Eso responde a una idea que se generaliza en esta sociedad consumista. Sólo sirve lo nuevo. Los deportistas deben ser jóvenes, fuertes y un valor siempre tan apreciado en la historia de la humanidad es rápidamente olvidado: la experiencia. Para la enorme presión psíquica que los equipos tienen por ganar, la fuerza física no alcanza y debe conjugarse con la experiencia para lograr un equilibrio necesario", explica el psicólogo Oscar Mangione.Pero hay otro dato de la realidad a tener en cuenta: en este momento de crisis donde los clubes exportan jugadores cada vez más jóvenes (Javier Saviola se acaba de ir con 19) se viene un campeonato doméstico polarizado. "Jugarán los más chicos y los más viejos. La sangría de jugadores y la crisis del fútbol argentino lleva a esto. Hay que promocionar a muchos jóvenes que son promesas. Y rodearlos de gente con experiencia que sepa ayudarlos y guiarlos, en la cancha y fuera de ella, para que no fracasen", sostiene Roberto Digón, vicepresidente de Boca."¿Quiénes van a ir a la nota? No... ¡Esos son viejos Yo soy joven. Estoy cansado de que se hable de mi edad. Desde que volví a la Argentina no hablan de otra cosa. Como dijo el Maestro Labruna, la verdad se demuestra en el verde césped", dijo Comizzo cuando fue invitado por Clarín a una producción fotográfica. El mismo Comizzo que se comparó con los buenos vinos: "¡Cuanto más viejo, mejor. Con los arqueros pasa lo mismo". Y el mismo Comizzo que tiene un hijo (Darío) dos años menor que Franco Costanzo, con quien va a pelear el puesto. "Siempre me cuidé e intenté mantenerme de la mejor manera. Algo en lo que, gracias a Dios, me ayudó muchísimo mi físico. Sigo viviendo esto con la misma pasión, pero con la tranquilidad y la experiencia que me dan 18 años de campaña", aseguró el ahora de nuevo arquero de River.Hay un prurito al que los futbolistas le tienen miedo: "Viene a robar". Es una etiqueta despectiva que se pega gratuitamente en el ambiente cuando un equipo incorpora un jugador veterano. "A mí no me jode que digan que vengo a robar. Soy muy consciente de cómo hago mi trabajo. Pero acá, en la Argentina, es muy fácil matar a los viejos. Si un pibe de 20 años no corre, está cansado. Si un grande hace un mal partido, está robando. Yo estoy con todas las fuerzas para jugar el último año y medio de mi carrera y, por supuesto, cerrarlo de la mejor forma", asegura el Beto Acosta en su cuarta vuelta a San Lorenzo. En los tres ciclos anteriores, convirtió 80 goles en 174 partidos."No me molesta que digan que vengo a robar. Para mí es un lindo desafío y sé que puedo. Físicamente, estoy corriendo a la par de todos. Y futbolísticamente, no me olvidé de jugar. En el fútbol tuve la suerte de no soportar ninguna lesión grave, tengo el físico privilegiado para aguantar el trajín llevé una vida normal y soy ubicado, siempre con los pies sobre la tierra", explicó Pepe Basualdo, seis años mayor que su técnico —y ex compañero— Carlos Compagnucci (no es el único caso: cuando empezó a jugar en Newell''s, Julio César Saldaña fue compañero del actual entrenador Juan Manuel Llop).Digón destacó a Basualdo como "un factor preponderante en el orden de Boca ", de donde se despidió el año pasado con la Triple corona (campeonato local, Libertadores e Intercontinental). "Estoy seguro de que si él estaba en el plantel, lo que pasó entre los jugadores y algunos dirigentes no hubiese tomado estado público", agregó el dirigente."Hoy al fútbol argentino lo manejan los pibes y por eso está enfermo. Los pibes salen antes de tiempo y algunos ni saben el abecé. El fútbol es 90 por ciento de experiencia y 10 por ciento de juventud, pero acá es al revés. Los de experiencia (Verón, Crespo, Burgos) están en Europa. Le viene bien que se incorporen jugadores con años de fútbol. No tapan a nadie y son los últimos espejos para que los chicos aprendan", sostuvo con sesgo polémico Hugo Orlando Gatti, quien fue el futbolista argentino de primera división que más viejo se retiró en el país (tenía 44 años cuando dejó el arco de Boca)."Mucha gente piensa que traer veteranos tiene que ver con una reducción de presupuesto en los clubes. Pero cada técnico pide lo que necesita. Y, en mi caso, precisé experiencia para mecharla con la juventud del plantel", expuso Carlos Aimar, técnico de un Lanús que en el campeonato pasado tenía un plantel con promedio de edad de 21 años y ahora, con los refuerzos, lo subió dos años.¿A qué edad es viejo un jugador? "El problema es no dejarse sugestionar por la edad cronológica porque puede no estar de acuerdo con la posibilidad físico-técnica del jugador de fútbol. Un jugador que se cuidó como corresponde, con una base biológica sana, puede extender su rendimiento óptimo mucho más allá de lo que la gente cree", advierte el doctor Rubén Darío Oliva, un profesional argentino que reside en Italia. "No importa la edad, sino el deterioro físico, que empieza después de los 32 años y es irreversible. Es una caída lenta y progresiva, como si fuera la caída desde una montaña", diagnostica el doctor Roberto Avanzi."Los jugadores no se califican por su edad sino por su rendimiento", agregó Os valdo Chiche Sosa, técnico de Chacarita, equipo que se desprendió de Mario Lobo (36), Raúl Cardozo (33) y Héctor Almandoz (32)."Las tres claves para llegar a la longevidad deportiva son: 1) Un talento físico especial. 2) El cuidado personal. 3) No haber tenido lesiones importantes. En general, el jugador grande se mantiene con poquitos y especiales ejercicios, salvo que sea de mucha envergadura", apuntó Julio Santella, preparador físico de Boca. Para él, los veteranos aportan más en la cancha "donde manejan bien los ritmos del partido" que afuera. Tener más edad no es sinónimo de ser el patrón del vestuario. Líder se nace. Roberto Trotta, por ejemplo, fue capitán de Estudiantes a los 19 años".
Da Clarin del 22.07.2001

El gimnasio es la ruina

No conozco a Messi, no lo atendí nunca y entonces es difícil saber con exactitud qué es lo que le pasa. Pero hay ciertos indicios en el fútbol moderno que nos hacen reflexionar. Me gustaría saber con exactitud cómo es la preparación física de Messi. En estos tiempos muchas veces hay una degeneración de la preparación física de los futbolistas. El Santos, que tenía a Pelé, como gran figura se entrenaba jugando. Y yo sostengo que el mejor entrenamiento es jugar y saber compensar a cada individuo con lo que necesita. No con una exagerada utilización del gimnasio. Hoy llevar al jugador al gimnasio es, muchas veces, la base del entrenamiento y eso es una locura. Es la ruina del fútbol, porque allí se exagera con la preparación física.
Da Clarin del 07.03.2008

A no perder tiempo

Ahora, con la lesión ya consumada en la rodilla izquierda de Claudio López, no hay que perder nada de tiempo. Cada día será fundamental para que el lapso de la recuperación sea el menor posible. Y por eso, tanto el cuerpo médico de la Lazio como el propio jugador deberán decidir cuanto antes si operan o no el ligamento roto.Igualmente, una lesión en el ligamento externo es menos complicada que en el ligamento interno. ¿Por qué? Porque no está unido a la cápsula —al revés del interno— y porque se trata de una fibra más fuerte. Y, además, la recuperación en el ligamento externo es habitualmente más rápida que la del interno. Claro que no es una lesión simpática, pero se puede recuperar sin mayores problemas si es intervenida quirúrgicamente a tiempo y con éxito.En cuanto al edema en el ligamento cruzado posterior, no es un daño muy grave: se trata de una inflamación, no de una lesión. No hay nada roto. Igualmente, requiere de mucho cuidado: ese sector no debe ser tocado. De lo contrario, se podría agravar la situación.Imagino la frustración y el dolor de Claudio López, pero ahora es tiempo de decisiones y no de lamentos. Y se debe definir urgentemente si habrá operación o no. Tuve algunos casos similares y, según mi opinión, habría que operar lo más rápido posible. Pero claro, todo depende del jugador y del cuerpo médico de la Lazio. De nadie más.Rubén Darío Oliva es médico. Fue responsable de la Selección argentina en los mundiales 1978 y 1982. Ahora está radicado en Milán, Italia.
Da Clarin del 03.11.2000

Taricco e la sua guarigione

LA OTRA MIRADA: MAURICIO TARICCO. FUTBOLISTA
Pasaje de ida
De Argentinos Juniors pasó sin escalas a Inglaterra, donde lleva siete años. A los 28, critica con dureza al fútbol argentino mientras se recupera de una lesión. Acá no juego más, dice.
DANIEL AVELLANEDNo se parece a Ringo Starr o a Paul McCartney, pero respira las costumbres de la tierra de los Beatles. Es argentino, bien argentino y de José León Suárez. Pero como muchos jóvenes que no vislumbran la salida de un país laberinto en el que abunda la incertidumbre laboral, la inseguridad económica y física y el deterioro de los sueños, encontró el éxito en el desarraigo. Mauricio Taricco, que ahora tiene 28 años y juega en el Tottenham Hotspur de Inglaterra, era el lateral izquierdo de Argentinos Juniors en 1993. Con más de 40 partidos en Primera recibió una propuesta del Ipswich Town. Tuvo dudas, miedo y dolor por dejar tanto atrás: su familia, el barrio, los amigos... Pero aceptó el desafío. Y hoy es un lord inglés.La esencia de ese pibe enrulado que disfrutó del baby fútbol desde los seis años en el club Chilavert, que hizo las Infantiles en River y las Inferiores en Argentinos junto a Walter Pescadito Paz, permanece intacta. Pero en su gesto, en su forma de expresarse, se palpa un indisimulable rasgo europeo. Hace casi siete años que juega en inglés, cuatro temporadas en el Ipswich y dos en el Tottenham, donde dejaron su sello sus compatriotas Osvaldo Ardiles y Julio Ricardo Villa. En la charla con Clarín deja en claro que no cambiaría el smog londinense para volver al fútbol argentino, del cual tiene una mirada crítica. Y entrega sus impresiones:
"Tenía 21 años. Lo pensé mucho y tomé la decisión de irme. Si bien no había firmado un contrato espectacular, al menos era una seguridad por tres años. Ahora, a la distancia, puedo entender muy bien por qué los futbolistas, aun sin tener un convenio previo, van a probar suerte afuera. Las posibilidades son mayores que acá. El otro día me entrené con Argentinos y, por si hacía falta, confirmé que las diferencias son abismales. Los lugares de entrenamiento, las canchas, las facilidades... En la Argentina se te rompe un botín y es un problema. Allá no existen estas cuestiones. Ni en la Premier League, ni en la Primera, la Segunda o la Tercera. Cualquier futbolista encontrará muchos menos problemas jugando en Segunda o en Tercera en Inglaterra que en la Primera de Argentina".
"A mí me encantaría que Argentina sea un 50 por ciento de lo que es el fútbol allá. Por más adaptado que uno esté al medio, sigue siendo un extranjero. Sería muy lindo agarrar el auto, entrenarse, cobrar un buen sueldo y estar rodeado de los afectos, la cultura, que el verano sea enero y no en julio y agosto. Pero no es así. Pasé momentos duros, de tristeza. El shock cultural fue muy fuerte. Pero ahora veo los frutos".
"No tuve problemas con los ingleses por ser argentino. Es más, cuando jugaba en el Ipswich vi a algunos con la camiseta de la Selección. Pero yo no me expongo, no me meto en problemas. En especial con los hinchas de otros equipos, que te insultan. Allá, por ejemplo, si te tirás para conseguir un penal, no vas a recibir elogios. Es lo que llaman cheat, como hacer trampa. Yo, en cambio, lo veo como picardía. Y eso está mal visto por la prensa y por los jugadores. Es mala publicidad. No sorprende que un inglés se tire, se levante y diga que no lo tocaron, que no fue penal".
"Algo que los ingleses nunca van a asumir es el gol de Maradona, el de la mano de Dios, en el Mundial 86. Para nosotros fue una picardía, como decir: Está bien, si no llego con la cabeza, lo hago con la mano y ganamos el Mundial. Y somos felices. Para ellos, ganamos el título, sí, pero somos tramposos. En confianza, cualquiera acepta que haría lo mismo que Diego. Pero jamás lo dirían en forma oficial. Lo que más les molesta es que Diego lo negara, no reconociera que había hecho el gol de manera ilícita. Y eso más bronca les da".
"La gente es muy respetuosa. No hacen falta alambrados. De hecho, en ninguna cancha los hay. Escuchar un insulto es normal. Pero fuera de la cancha no hay problemas. Los futbolistas somos como estrellas de cine. Estamos a otro nivel. Es inexplicable que esto suceda. Pero la gente te lo hace sentir así. En Argentina los hinchas te exigen que ganes a cualquier costo, no te respetan, te insultan... Es terrible".
"No tengo ganas de volver a jugar acá. No pasa por el aspecto económico. Porque un jugador de River o Boca puede llegar a ganar como uno de la Premier. Pero allá el ambiente es tranquilo, las canchas son bárbaras, no hay violencia... Y hay una organización ejemplar. La Federación de Futbolistas te permite tener una pensión cuando te retirás a los 35 años y cobrarla de por vida. Es una especie de jubilación, un dinero que permite relajarte".A kilómetros de su lugar natal cultiva el afecto de su esposa Evangelina, con quien se casó días antes de su transferencia, y de Ezequiel, un british boy de dos años que, según papá Taricco, ya es bilingüe.Hoy su máxima preocupación es volver a jugar, ya que hace ocho meses está inactivo por una lesión inguinal. "Estuve con los mejores especialistas. Hasta consulté al médico del Bayern Munich, y nada. Me operaron dos veces y me seguía doliendo. Hasta que llegué al doctor (Rubén) Oliva, que está en Italia. Y él me marcó el camino para la recuperación".Taricco, en la paz que propone el calor del hogar paterno, no se inquieta por la posible contratación del alemán Cristian Ziege, del Liverpool. No obstante, como si hiciera falta, vuelve a aclarar al final de la entrevista: "Acá no juego más". Sus razones quedaron al desnudo.

Se potencian las inseguridades

Rubén Darío Oliva. MEDICO DEPORTOLOGO.Los futbolistas conviven con numerosas inseguridades. Una de ellas es el temor permanente que tienen de perder el puesto a manos de un compañero. Por eso suelen ocultar sus lesiones y juegan de cualquier manera, exponiéndose a problemas mayores. Eso ocurre, en gran medida, porque no le tienen confianza al médico del club quie debería su consejero. Y en vísperas de los mundiales todas las inseguridades se potencian.Es cierto que los jugadores suman numerosos partidos a esta altura de la temporada, pero ese no es un problema fundamental para que se produzcan lesiones. El cansancio no es acumulativo. Y con un buen descanso se puede recuperar perfectamente. Lo importante es preparar al jugador para cada partido y generar la condiciones para el descanso y la recuperación. Lo grave es que en los entrenamientos se abusa del potenciamiento muscular. Se realiza un entrenamiento exasperado y eso impide que el jugador se recupere como corresponde. Además, frecuentemente se los expone a lesiones en las partes blandas.Estas cosas ocurren porque no hay una coordinación absoluta entre el trabajo del preparador físico y el médico. La preparación no debe neurotizar al jugador y debe apuntar, sobre todo, a la prevención.En el diario Corriere Della Sera del 27 de marzo hay un claro ejemplo de esto. Un jugador del Milan ingresa a Maranello, donde se entrena habitualmente el equipo, y recibe una instrucción de parte del médico, otra del preparador físico y otra distinta del técnico. Uno le decía que debía realizar trabajos en bicicleta, otro que corriera y el otro que hiciera fútbol. Bajo esas condiciones es casi imposible que el jugador tenga fe en los profesionales que lo rodean.
Da Clarin del 12.04.2002

Los discapacitados y el deporte



Da Clarin del 20.09.1988

Oliva: campi appropriati per giocatori giovani



Da Clarin del 19.10.1966

Oliva: Campi appropriati per giocatori giovani
Il dottor Oliva si trova nella redazione di Clarin. Accettò il nostro invito e ci visitò, portando le sue conoscenze scientifiche applicate al calcio. Saputo che il dottor Oliva è medico sportivo e assessore in materia al Ministero della Salute. Realizzò numero si lavori e ha girato il paese tenendo conferenze. Rappresentò , inoltre, il nostro paese in distinti congressi medici internazionali di medicina dello sport, specialità alla quale si è legato dal 1946. Lavorò nel Rosario Central ed ora fa lo stesso nel Chacarita Juniors. È inoltre professore nazionale di educazione fisica. Fino a qui, il suo curriculum; da qui in poi le sue parole:
Le molteplici implicazioni che tiene lo sport nella società moderna, cominciò dicendo , obbligano a considerarlo seriamente e a trattare di elevarlo nei suoi aspetti educativi biologici, medico e pisco sociologico. I medici che in un modo o nell’altro stono legati allo sport tengono l’obbligazione di apportare i contributi responsabilmente. Gli dei mitologici delle antiche olimpiadi, sono rimpiazzati oggi per la causa di contribuire allo sviluppo della medicina sportiva. Per abbinare con esempi le sue parole, il dottor Oliva proseguì: Prove di quello è che già si sono effettuati sedici congressi mondiali di medicina dello sport, a parte un numero considerevole di incontri scientifici, in distinte nazioni e gruppi di nazioni. La nostra , felicemente, si è vista interessata per lo stesso interesse ed è così che nel nostro paese si son realizzati già varie riunioni scientifiche e si sono fondate società di medicina dello sport in distinte provincie . tuttavia, medici argentini han partecipato a congressi mondiali, rappresentandoci. La Federazione Internazionale di Medicina dello Sport, con sede in Svizzera, è da molti anni esistente. In seguito, il professionista fece riferimento al calcio in questi termini: Il nostro calcio si arricchì e nutrì in una epoca, con elementi formati liberamente e in terreni liberi. Sebbene con errori o difetti, la naturalità piacevole che con questi elementi si svilupparono, permise a molti di staccarsi e illuminare un’epoca che vive nel ricordo di molti. Le cose cambiarono. Il progresso migliorò quelli carenti, ed i clubs comprendendo l’importanza dell’ingresso dei giovani nello sport, organizzarono le divisioni inferiori ed in alcuni casi paragonabili a scuole di calcio. Di queste ultime parole sorse un’espressione posteriore:
il calcio diventa tecnico. Tuttavia tende a tecnologizzarsi la formazione del giocatore. Però è necessario che questa tecnificazione rimpiazzi le carenze con vantaggi e non con svantaggi. È necessario che si applichino con serietà principi, norme e tecniche di ordine medico e pedagogico, che difendano il bambino ed il giovane, evitandogli sforzi effettuati su terreni inadeguati per la loro grandezza, in molti casi senza controllo medico specializzato. Si corre così il rischio di trasformare il calcio in fonte di infermità e non di salute. È conveniente inoltre, per l’acquisizione dell’abilità tecnica e dei riflessi, non affaticare i ragazzini con campi grandi e realizzare l’attività con criterio ricreativo – educativo.
In fine il dottor Oliva disse: Per tutto quello che esposto, è attualità le conclusioni che circa la pratica di questo sport, per parte dei giovani, si redissero nel XIV Congresso Mondiale di Medicina dello Sport, realizzato in Santiago del Cile, coincidente con il mondiale del 1962 e, più precisamente, la risoluzione favorevole del Consiglio Federale della AFA nella sua sessione del 17 settembre del 1963, che approvò la presentazione del signor Guillermo A. Stodart, dirigente della Liga del Pergamino, tendente ad applicare, nella pratica del calcio dei giocatori minori di 16 anni, le raccomandazioni menzionate nel congresso in Cile. Sarà molto conveniente che a incaricare di trattare di una risoluzione di consigli, tutto quello stabilito in quel convegno si compirà ed applicherà in tutte le leghe rappresentanti del Consiglio Federale.

Taricco Mauricio

http://www.clarin.com/diario/2003/05/03/d-00221.htm


Da Clarin del 03.05.2003

Fortitudo Bologna basket



Da La repubblica del 23.05.1997 di Emilio Marrese

Ehi Virtus, Bologna siamo noi



Da La Gazzetta dello Sport del 25.10.1995 di Andrea Tosi

Caro basket mi manchi



Da La Repubblica del 05.10.1995 di Walter Fuochi