Quattro mesi di ritiro


da il Corriere della Sera del 26.06.1978

E' come un Sivori che si allena sodo



Da La Stampa del 11.06.1980

Una vacca campionessa mondiale

Il consumo, l’amministrazione o la ricerca di sostanze meravigliose o no, per ottenere un maggior rendimento energetico, aumentare il benessere psicofisico, vivere intensamente o perseguire l’evasione dai problemi quotidiani difficilmente risolvibili, costituisce una vecchia pratica installatasi nelle remote origini della società umana.
Dalle prescrizioni ancestrali e misteriose del mago della tribù umoristicamente attualizzate nella pozione magica di Asterix alla farmacologia moderna, il processo ha marciato unito all’azione terapeutica.
Dipende dal soggetto, dalle opportunità e fini dell’uso di certe sostanze perché tale somministrazione sia considerata o no un delitto.
Con questo preambolo veniamo alla definizione di doping proposta nel primo congresso europeo sopra il tema nel 1963: “Si considera doping l’utilizzazione di sostanze e di tutte quelle misure destinate ad aumentare artificialmente il rendimento, in occasione di competizioni che possono arrecare pregiudizio all’etica sportiva e all’integrità fisica e psichica dell’atleta”.
Da qui in avanti s’inizia un processo di controllo, repressione e personalizzazione, in base a liste di prodotti che di anno in anno si perfezionano o si vanno completando unendosi a un’intricata complessità e enorme difficoltà sia di caratterizzazione del delitto come di qualificazione della sostanza. Si va da questa maniera, a essere considerata come doping l’amministrazione di certi amminoacidi come complemento dietetico dell’atleta, cosa che si ottiene ugualmente mangiando un paio di bistecche, sempre chiaro rimane, che le vacche non sono state trattate con ormoni da parte del contadino.
Nel fondo di questa corsa a spirale, dentro eventuali delinquenti sportivi, periti dell’antidoping e giudici severi esiste una base di profonda ignoranza, ossia, detto in altra maniera, la deficitaria formazione nello sportivo di un’educazione sanitaria che deve rimpiazzare alla nevrosi che, fondata su detta ignoranza, crea il sofisma della sostanza che permette di migliorare il rendimento atletico.
La pseudofilosofia moderna dell’attività sportiva la conducono i grandi fabbricanti di elementi sportivi di consumo di diversa indole, i quali, disponendo de meccanismi produttivi più agili che gli stati hanno visto il grande mercato che lo sport di massa comprende, segnalando in questa maniera le direzioni attuali.
L’esperienza mi ha indicato sempre che il fenomeno del doping non l’ha iniziato lo sportivo. I suggerimenti o il consumo di sostanze proibite le hanno fatto proposte per persone informate appartenenti o no al gruppo, tecnico o dirigenziale.
Indubbiamente che in questa maniera e in base alle precedenti considerazioni, il contagio si realizza e si entra nel compromesso.
Corrisponde ai medici, allenatori, professori di educazione fisica, infermieri, dirigenti e giornalisti ingaggiare la battaglia permanente, educativo-informativa alla fine di creare la coscienza sportiva-sanitaria, unico percorso per il flagello del doping.
La scienza biologica progredisce laboriosamente al fine di schiarire i misteri della vita. Per il momento non si è dimostrato scientificamente l’esistenza di alcune sostanze che aumentano il rendimento energetico o che rimpiazzano un allenamento integralmente condotto da gente preparata e responsabile.
Nessun stimolante, narcotico, steroide anabolizzante, diuretico o auto emotrasfusione, rimpiazza un’adeguata motivazione. Questa si che genera nel sistema neuroendocrino, immunitario, umorale, i composti biologici adeguati all’attività ed al rendimento energetico.
Le emozioni, i diversi stati d’animo, l’empatia, antipatia, l’odio, l’ira, l’amore, la paura (questi ultimi considerati dall’eminente psichiatra spagnolo defunto Mira e Lopez come i quattro giganti dell’anima) tengono come base vitale la formazione in organi precisi di sostanze stimolanti o inibitorie dell’attività psicosomatica.
Indubbiamente per allenare un atleta, deve stare debitamente preparato chi lo conduce, e come questa situazione non è la predominante in molti sportivi medi, è migliore e più facile ricorrere al sotterfugio di una pillola per giocare meglio.
Passa molto tempo che mi diverto con una frase: ”…se gli danno un’anfetamina ad una vacca, non la trasformeranno in una campionessa del mondo di salto in alto”.
Tutta questa maniera di confusione che alla fine ha avuto come effetto in un discutibile meccanismo repressivo dell’antidoping, rende difficile la funzione del medico specializzato che deve trattare uno sportivo. Si perde il diritto di applicare un adeguato trattamento: per esempio, se un atleta ha dormito male può essere perfettamente curato con aspirina, il quale non sarà un delitto se non è uno sportivo. In ugual misura si può aiutare in un trattamento antidepressivo utilizzando il farmaco necessario per questa patologia; o durante un episodio allergico impiegare un antistaminico. Come questi, si possono dare molteplici esempi per dimostrare la difficoltà che ai professionisti creano queste situazioni veramente ridicole. A proposito, è celebre il caso del nuotatore Rick De Mont squalificato a vita nel 1972 dopo il suo trionfo nei 400 metri, per aver usato una medicina che conteneva efedrina. De Mont, soffriva di asma, e già questa era la medicina che usava abitualmente per il suo trattamento.
Per semplificare le difficoltà che circondano il discutibile e complicato meccanismo repressivo dell’antidoping, valgono alcuni esempi: l’atleta iugoslavo Belic, medaglia di bronzo nel salto in lungo nel campionato di atletica europeo, settembre 1990 in Spalato (Dalmazia, Yugoslavia) positivo all’anti-doping per aver utilizzato anabolizzanti: 2 anni di squalifica e ritiro della medaglia. Approssimatamente dopo 15 giorni fu riabilitato dalla federazione internazionale di atletica leggera. Il comitato medico constata equivocazioni nelle analisi (comitato presieduto dal capo del laboratorio ufficiale di Londra, vicepresidente della federazione svedese, capo del settore medico, vicepresidente del comitato medico del CIO).
Approssimatamente due anni fa successe in Norvegia con la campionessa nazionale di lancio del giavellotto. Riabilitata e pagata con forte indennizzo dalla federazione di atletica del suo paese al momento in cui le controanalisi risultarono negative.
Greg Foster, campione mondiale dei 60 metri con ostacoli, due volte campione del mondo nei 110 metri con ostacoli (Helsinki 1983, Roma 1987), fu squalificato per aver usato medicamenti vasocostrittori per stare riposato. Ritorna e vince in Siviglia nel marzo scorso, i 60 metri con ostacoli nel campionato mondiale indoor.
Altri due esempi di casi di discussione attualmente in USA: Butch Reynolds, campione mondiale nei 400 metri piani (43”29) accusato di aver utilizzato anabolizzanti in Montecarlo (agosto 1990) rifiuta l’accusa e sostiene che le provette di urina non sono le sue. Ricorre alla magistratura in USA. Causa in corso.
Già abbiamo affermato che non è trovata la droga che aumenta il rendimento energetico, negli USA si dimostrò in una squadra di football americano, che l’uso sperimentale di cocaina non da benefici energetici agli atleti.
Un membro autorizzato della squadra americana di calcio dichiarò che il beneficio energetico ottenuto per mezzo della cocaina era simile allo stimolo ricevuto con gli applausi dei tifosi sugli spalti.
Se posso aggiungere un aneddoto o un commento reso pubblico da un grande allenatore nordamericano, Pat Connolly di Los Angeles (allenatrice di Evelyn Ashford, ex campionessa del mondo dei 100 metri e campionessa olimpica). Dice tale allenatrice: “l’alcol fa male, ed allora, perché nell’antidoping si offre birra e champagne in abbondanza per far fare orina agli atleti? Molti di essi vanno all’antidoping ubriachi; già, Pat Connolly ha sostenuto in braccio Edwin Moses (il più grande ostacolista nei 400 metri di tutta la storia, attualmente membro del comitato di atletica del CIO), non stava in piedi a cusa dell’ubriacatura per la birra!”.
Pagina 11 del 7 aprile 1991

Hay que cuidar lo que no se ve


Si deve guidare ciò che non si vede

Quando guardiamo uno sportivo o qualche individuo in azione, stiamo osservando appena la parte esterna di questa macchina complessa che è l’essere umano. Quello che noi vediamo è l’infrastruttura che alimenta questo apparato in movimento e che si può comparare ad un iceberg. Perché un quinto è quello che galleggia sopra, la sua parte visibile, e quattro quinti stanno sotto.
Come medico sportivo mi interessa proteggere e conservare tutto quello che non si vede e che costituiscono le garanzie indispensabili per il buon rendimento atletico. Per questo sostengo che è più importante che lo sportivo tenga il fegato ed un sistema cardiorespiratorio in buone condizioni, perché questi organi sono incaricati nella struttura di sostenere con esito favorevole il movimento atletico.

Anche di più
L’individuo non è solamente un apparato locomotore, ossia un’unione di ossa, muscoli ed articolazioni che si muovono. L’individuo (la parola proviene da indivisibile) tuttavia abbraccia tutto il sistema nutritivo metabolico, il quale da l’energia per il movimento e la vita, e il sistema nervoso centrale e neuroendocrino umorale, che coordina tutte le funzioni. In conseguenza teniamo tre grandi sfere interrelazionali: il sistema motore, gli organi, gli apparati ed il sistema dell’economia, che sono in definitiva quelli che occupano le due cavità toraciche e addominali e che provengono con le distinte funzioni l’energia necessaria per le attività muscolari. Queste due grandi sfere sono coordinate e integrate per il sistema nervoso.
Per questo non è questione di ripetere serie di esercizi ne andature senza fondamento negli allenamenti, fino a che la struttura di questi quattro quinti (tornando all’esempio dell’iceberg), che sono gli organi e gli apparati dell’economia, il sistema digestivo, cardiorespiratorio e nervoso che coordinano tutto, non deve essere trascurata e si deve tenere speciale attenzione da parte del medico e dell’allenatore.
Molti dicono che il calcio si gioca con i piedi, però io sostengo che si gioca con la testa, ossia con il sistema nervoso centrale; si esprime con i piedi e si sostiene con il fegato. La testa è quella che coordina in dimensione spazio-temporale ed il piede esegue il comando del cervello. Intanto, il fegato è il grande laboratorio del corpo umano. Sta nel centro della riserva nutritiva (pool energetico).
Del grande laboratorio che è il fegato sappiamo alcune funzioni, però tuttavia ignoriamo le altre. Una funzione importante del fegato, a parte di quella energetica, è quella antitossica. E prima di entrare nel tema generale dell’apporto energetico all’organismo, è necessario un’affermazione che tiene che vedere con la mentalità generale della gente nell’uso delle vitamine.

Vitamine
Per questo voglio far notare qualcosa che ho notato da molto tempo. Ed il concetto che il fegato dello sportivo è sottomesso ad uno sovra sforzo quando alla dieta si aggregano vitamine in forma indiscriminata. Questo è notevolmente pregiudizievole. Poco tempo fa, nel giornale italiano Corriere della Sera, si pubblicò che il Consiglio Nazionale di Investigazione degli Stati Uniti controindicava l’uso delle vitamine. Questo io lo vado sostenendo da più di 30 anni.
Perché? Perché la vitamina complica una funzione catalitica , biochimicamente parlando. È dire procedere grazie all’assistenza. L’organismo tiene una necessità di vitamine che si mischia in microorganismi. La funzione catalitica significa non partecipare con la sua molecola nella reazione, però se l’appoggia e la facilita, senza intervenire nella stessa molecolarmente. Implica che quando si supera questo minimo richiesto è il fegato che va ad annullarla; l’ingestione di vitamine può sottomettere al fegato ad una funzione annessa, facendo più pesante il suo carico, e questo è qualcosa che teniamo, e questo è qualcosa che dobbiamo sradicare.
La vitamina non partecipa alla reazione perché è un fattore di alimentazione. Si fece popolare l’uso crescente che sia alimento, energia. Però la vitamina non da energia. Né la vitamina B è tanto utile per il reumatismo e per i dolori come si crede. Però si fece popolare, i laboratori vanno a fabbricare la vitamina extraforte con i suoi 500 e mille milligrammi ed il suo consumo è come una bomba. Per cosa? Perché il fegato vada a soccorrere l’organismo e faccia un lavoro extra per eliminarlo.

Il dottor Oliva curò in un giorno una lesione di tre settimane

Questo è lo stregone di Maradona

Secondo i medici del Barcellona, Diego Armando Maradona ebbe una lesione che sarebbe guarita in tre settimane. Tornò da Milano il dottor Ruben Oliva chiamato dal proprio giocatore, ed il giorno seguente Maradona segnava il goal della vittoria per la sua squadra nella partita di campionato contro l’Espanol. Saltò oltre la polemica, il divisore. I sospetti erano già all’ordine del giorno. INTERVIU lo trovò e poté intervistare in esclusiva la strega di Maradona, che in realtà è un argentino stabilitosi in Europa la cui specialità è la Medicina sportiva. I suoi metodi, a volte rivoluzionari, gli sono valsi il soprannome del loco Oliva.

Guarda, dice il dottor Oliva, negare che ripetute volte sono stato a parlare sul tema della polemica lesione di Diego Armando Maradona, se le vado a contare tutte, però prima chiedo avvertirla che non mi piacerebbe che questa intervista venga utilizzata per screditare qualcuno né per creare conflitti che non conosco né m’interessano. Ruben Oliva stava giocando al cerrojo, tattica che come ogni buon affezionato al calcio, conosce perfettamente. INTERVIU lo trovò in Barcellona e il dottore accettò il dialogo al vedere che in realtà già stavamo al corrente di quello che avvenne con la dolenza che soffrì il Pelusa Maradona sul terreno di gioco. “Per supposizione – puntualizzò- avevo preferito passare per Barcellona senza che la mia presenza fosse preavvertita. Se parlo, è davanti al timore che si dica qualcosa senza fondamento e senza fare enfasi in tutta verità, d’accordo?

Maradona, senza segreti per Oliva

D’accordo. È chiaro. Voi tenete la parola, dottore.
Bene, vede, Maradona lo conosco da molto tempo. Per lo meno da cinque o sei anni. Questioni professionali a parte, sento un grande affetto per lui come persona. Lo ammiro perché il peso dei soldi e della fama non gli ha fatto perdere l’umiltà. Però sul tema della lesione, la mia attitudine fu chiara dal principio e l’attuai senza nascondermi da nessuno, già che come medico ho seguito la sua evoluzione fisica dal principio e questo mi permise risolvere rapidamente il caso: mi chiamò Jorge Czysterpiller, il suo amico-manager, per raccontarmi ciò che passava. Secondo Czysterpiller, Diego vedeva che la sua lesione, uno strappo muscolare secondo la diagnosi del dottor Gonzalez Adrio, membro del settore medico del Barcellona, non migliorava. Intanto ricordai che immediatamente prima della partita inaugurale dei Mondiali 82, Pelusa soffriva di un malanno esattamente uguale. Supposi che era lo stesso e sapevo che non si trattava di un problema muscolare, se non della infiammazione di un nervo irritato per una pellicola verticale che al saltare o al correre, così come al fare determinati movimenti, gli provocava un forte dolore. Jorge m’invitò a venire a Barcellona e dopo aver riconosciuto la dolenzia ed indicato il trattamento, gli suggerì che continuasse il controllo presso il servizio medico del Barcellona…
Come si spiega, allora, che alla settimana seguente, due giorni prima della partita contro l’Espanol, Dieguito fosse tornato a lamentarsi dello stesso dolore?
Bene, non so in questo caso chi tiene la colpa. Per quello che mi raccontò Maradona, non continuò il trattamento indicato da me, dato che il dottor Gonzalez Adrio insistette sul fatto che fosse uno strappo e gli fecero una sessione di ultrasuoni. Questo infiammò il muscolo e intensificò il dolore. Secondo la mia opinione, questo trattamento era controproducente. Quando Czysterpiller mi richiamò, presi il primo aereo e mi sistemai in Barcellona con tutta l’urgenza che richiedeva il caso.

Un medico rivoluzionario

Non parla per parlare questo medico argentino di 57 anni, sposato, con tre figli. La Medicina sportiva è la sua specialità, l’ha vissuta prima come maestro, poi come professore di educazione fisica e più tardi culminò la sua carriera laureandosi in Medicina, perché sentiva la necessità di completare la sua formazione globale riguardo il tema. “Entrai nel calcio – ricorda- per la passione che albergava in me per il gioco. Il mio primo lavoro come medico sportivo fu nel club Rosario Central – nel quale i tifosi ricorderanno che arrivò “Milonguita” Heredia, giocatore del Barcellona ed anche della selezione che dirigeva Ladislao Kubala. Accadde un fatto inedito in quell’anno 1961: per la prima volta, non solo nel mio paese ma in tutto il mondo, un club di calcio convocava i suoi oppositori per coprire il posto vacante di medico della squadra professionistica.”.
In realtà fu un pioniere e come tale fu trattato per i regimi dittatoriali che si succedettero in Argentina. Dovetti emigrare ed installarmi a Milano, dove ha già dedicato 10 anni alla sua passione e lavoro, la medicina sportiva. In Argentina lo si conosce come il loco Oliva, comunque questo non impedì al selezionatore argentino Cesar Luis Menotti di chiamarlo per curare i suoi giocatori in due mondiali consecutivi. I giocatori argentini lo seguono adorandolo. Per questo la seguente domanda sorge spontanea: Perché lo chiamava il manager e non Maradona?
- E’ che il ragazzo non sapeva che fare. Non voleva passare sopra i medici del Barcellona. Io lo capisco e comprendo da parte mia se mi conveniva venire o meno. Però in ultima istanza si trattava di un malato che conosco ed a cui voglio bene; se mi chiama, non posso mancare di curarlo. Dall’altra parte, se s’insisteva per il trattamento con ultrasuoni non si andava a migliorare entro un mese.

Così curai Dieguito

Che successe, dopo, quel venerdì, quando voi andaste prima della partita contro l’Espanol?
- Fui a casa di Maradona, lo esaminai e gli chiesi di fare una serie di movimenti in una certa maniera, nel giardino. Vidi che poteva giocare e lo curai. Il sabato alla mattina lo vidi ancora una volta ed allora gli chiesi un esercizio serio, come se stesse giocando una partita. Corse con voglia, saltò, fece vari movimenti durante una mezz’ora e non sentì alcun dolor. Mi chiese se poteva giocare ed io gli contestai che se fossi il medico della sua squadra e se l’allenatore mi consultasse, non avrei dubitato di dargli il visto perché si allineasse con la squadra. Fu molto contento e lo disse a Czysterpiller che parlasse con Udo Lattek, l’allenatore del Barcellona.
Voi vi vedeste con qualcuno dei medici del Barcellona?
- Si chiaro. Maradona chiamò il dottor Bestit e il sabato stesso ci incontrammo in casa del giocatore. Il dottor Bestit fu molto amabile e coincise con la mia diagnosi perché, secondo mi rese chiaro, egli non aveva riconosciuto prima a Maradona, fino a che non aveva visto il dottor Gonzalez Adrio. Immediatamente chiamò il vicepresidente del Barcellona, Juan Gaspart, e gli disse la novità. Intanto Gaspart chiese al Pelusa di presentarsi negli spogliatoi alle sette di sera.
Fu Gaspart che obbligò l’allenatore a schierare il Pelusa?
- No, no. Sta chiaro che nessuno obbliga per nulla. Gaspart si limitò a comunicare a Udo Lattek che Maradona stava in condizioni di giocare. A sua volta, Dieguito era molto contento, però allo stesso tempo preoccupato per quello che potevano pensare i suoi compagni o l’allenatore. Incluso il dottor Bestit offrì tutte le garanzie a Lattek.
Maradona giocò infiltrato?
- No, per favore. Questa è una barbarità che ho letto in vari giornali sportivi. Lo smentisco. Primo perché iniettato pare che voglia dire che fu stimolato o quasi così, ed esso è falso. Maradona solo il venerdì fu infiltrato come parte del trattamento.
Pensa che avrà conseguenze questa lesione nel futuro sportivo di Maradona?
- Nessuna. Potrà giocare in pieno rendimento durante le prossime partite, salvo che accada qualcosa di insperato. Questo né si cura né si aggrava. Succede che per la sua costituzione fisica, Maradona tiene la tendenza ad ingrassare, però guidato per una maniera adeguata, non va ad avere problemi mai, la sua carriera sarà lunga. Tuttavia, vive in movimento, non fuma e non beve. È un professionista che pensa solamente al calcio.
Voi tornerete a trattarlo se vi chiamerà?
- Si chiaro, Però voglio che tutto il mondo sappia che in questo caso non voglio invadere il terreno di un collega che ammiro e rispetto. Se vengo è per Maradona, verrò sempre dove giocherà, o quando si ritira. È una questione di confidenza umana. Supposto, non ho ricevuto nulla per aver lavorato con il servizio medico del Barcellona. Solo le spese di viaggio, perché il mio affetto per il Pelusa non tiene prezzo. Per ragioni economiche mai sarei venuto a Barcellona.
Articolo tratto da Interviu del 20-26 ottobre 1982